Annabelle di John R. Leonetti ovvero Casa di bambola. Ma qui non c’entra niente Ibsen. Un sano film horror, dovrebbe essere anche comico. Comico nel senso di catartico, di generare alla fine una liberatoria risata terapeutica, che sfoghi l’accumulo di tensione, di suspense che si è sviluppato durante la durata del film. Molti film horror o thriller invece sono risultati comici per l’ironia con cui la materia “horrorifica” è stata trattata con competenza meta cinematografica da autori quali Romero o Raimi fino a tutte le generazioni recenti di registi di questo macrogenere.
Altri film indugiano su un apparente effetto di involontariamente comico, dato dall’eccesso del trash e del pulp, tipico di molte b-movie italiani e statunitensi, prodotti soprattutto tra la fine degli anni ’70 e gli anni ’80. Per Annabelle però, nonostante la curiosa omonima attrice-protagonista (Annabelle Wallis) non funziona nessuna di queste categorie. Il film riesce ad angosciare lo spettatore con un competente utilizzo delle tecniche di suspance e di ritmo ma la regia e la fotografia sono piatte, quasi televisive. Il richiamo all’horror epico americano, anche nella pedissequa ambientazione temporale a cavallo tra i ’60 ed i ’70 appare pretestuoso e immeritato. Il basso budget del film (sempre per i parametri d’Oltreoceano) emerge soprattutto nella elementarità talvolta improbabile del soggetto e nella banalità talvolta irritante della sceneggiatura. Perché, nella cameretta di una bambina appena nata, la classica famiglia borghese americana, avrebbe dovuto piazzare un’orrenda e gigantesca bambola dalle fattezze sataniche?
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Per far condividere alla bambina, l’incubo della calustrofobica quotidianità e kitsch borghese espresso e simboleggiato dall’orrenda bambola? Il film avvince e mette ansia ma puramente per lo sfruttamento meccanico dei più abusati clichè del genere, il pubblico ne è oggetto passivo e involontario, come in un riflesso pavloviano. Gli interpreti sono poco convincenti, o prelevati da fisionomie da soap opera – i due protagonisti – o riconducibili a facili caratterizzazioni “esorciziali” – il prete e la proprietaria della libreria esoterica. Forse la cosa migliore di questo anonimo film è l’atmosfera creata intorno al progetto con i gadget, le divertenti ed ironiche presentazioni organizzate dalla promozione. Maschere con il volto della bambola da indossare e con cui farsi fotografare con l’inquietante sedia a dondolo presente nel film (Psycho docet), la presenza dell’orrenda bambola con cui farsi orrendi selfie, l’aperitivo, il parodistico Bloody Mary, contenuto in bottiglie come sangue umano, raccolto da un “emokiller”. Insomma, Annabelle è un caso particolare in cui il packaging è superiore al prodotto, più interessante, intelligente, divertente.
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