È un Jim Jarmusch minimalista quello che firma il suo undicesimo lungometraggio. Tutto il contrario del film che aveva spopolato a Cannes 2013: in Only Lovers Left Alive Tilda Swinton faceva letteralmente fuoco e fiamme, mentre l’opera odierna ritrae una giovane coppia serenamente intenta a trascorrere i propri giorni insieme. C’è una segreta alchimia tra Adam Driver e Golshifteh Farahani: il primo, dopo il ruolo di villain nel settimo episodio di Star Wars, è l’omonimo personaggio del titolo, un serafico conducente di autobus che pratica la poesia come disciplina dell’anima; la seconda, attrice iraniana già di Kiarostami e di Ashgar Farhadi, è l’esatto contraltare del maritino, tutta pepe e iniziative strampalate come prendere lezioni di chitarra per corrispondenza.
Ma la singolare cifra scelta da Jarmusch è quella della ripetizione, del doppio. Innanzitutto, Paterson è al tempo stesso il nome del protagonista maschile e il sobborgo del New Jersey dove si svolge l’azione – noto per essere altresì la location di uno dei fatti di cronaca nera che più hanno appassionato e diviso l’America negli anni ‘70, ovvero l’ascesa e la caduta di Rubin “Hurricane” Carter, pugile nero ingiustamente incarcerato per un triplice omicidio in un bar di quartiere, la cui epopea è stata mirabilmente cantata dal Premio Nobel Bob Dylan.
Poi c’è Laura, che si immerge in un universo cromatico fatto di bianco e nero, cucina muffin da vendere alla fiera domenicale, dipinge le pareti di casa con grandi sfere bicrome, accudisce il botolo di casa – terzo protagonista non accreditato: il piccolo bulldog farà a pezzi l’agendina dove il marito annota le sue composizioni liriche, accentuando il riferimento simbolico alla transitorietà del mondo e alla vanità degli sforzi che facciamo per lasciare un segno.
Un quadro idilliaco, che nulla arriverà ad incrinare. Nemmeno i rari contatti con il mondo esterno espongono Paterson a soverchi rischi: sì, una notte incrocia una decappottabile con quattro neri a bordo che gli danno un avvertimento, un’altra notte debella un fidanzato depresso che minaccia la sua ex con una scacciacani all’interno del bar dove ritualmente, ogni sera, il Nostro si reca dopo la passeggiata serale con il cane… ma non accade nulla di irreparabile, quasi a confermare l’aforisma per cui “l’impresa eccezionale, dammi retta, è essere normale”.
L’unico brivido è l’incontro, apparentemente fortuito, con un turista giapponese che si proclama anche lui un poeta, forse a indicare che la sintonia più grande si può ritrovare nei mondi più lontani dal nostro.
Jim Jarmusch firma un’opera che da un lato è puro divertissement, dall’altro vuole dare spazio a temi che di solito non ne hanno all’interno di un prodotto cinematografico. Forse vuol dirci che questo mondo ha bisogno di poesia. Ed ecco quindi che i testi scritti da Ron Padgett appaiono in sovraimpressione a mano a mano che l’autista di autobus le annota sul suo taccuino, accompagnando il suo lieve passaggio in questo mondo.
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