Anticipata dal Ministro Sangiuliano alla kermesse dei giovani di Fratelli d’Italia lo scorso luglio, la mostra J. R. R. Tolkien 1973 – 2023 Uomo, Professore, Autore che vede la firma curatoriale di Oronzo Cilli, membro della Tolkien Society e Presidente dell’Associazione Collezionisti Tolkeniani Italiani, con la co-organizzazione di Alessandro Nicosia e la collaborazione dell’Università di Oxford (dove John Ronald Reuel Tolkien insegnava Letteratura Inglese), viene ospitata, dal 15 Novembre all’11 Febbraio 2024 dalla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma (la tappa successiva sarà al Palazzo Reale di Napoli, dal 15 Marzo al 30 Giugno) in occasione dei cinquant’anni dalla morte dell’autore e dalla prima edizione italiana de Lo Hobbit.

Laddove le mostre di Oxford (2018), Parigi (2020) e Milwaukee (2022) si sono concentrate su elementi particolari e specifici, quella romana cerca di esaltare Tolkien come autore, accademico, uomo e padre, con una particolare – probabilmente eccessiva, dato lo spazio concesso – sezione dedicata al rapporto tra l’autore e l’Italia, in riferimento al suo viaggio nella penisola.


Come dichiarato dal Ministro della Cultura al Corriere della Sera: “Tolkien è oggi giustamente considerato una delle personalità più cospicue della narrativa mondiale, ben al di là del genere fantasy in cui più volte si è cercato di ‘recintare’ la sua opera […]  In realtà parliamo di un accademico, filologo ma soprattutto creatore di mondi inventati.

Fu un cattolico convinto che esaltava il valore della tradizione e della comunità cui si appartiene. Un vero conservatore, verrebbe da dire. Penso che la sua opera apra il cuore alla visione di qualcosa che va oltre la prosaicità del quotidiano. Simboli universali e senza tempo, valori che ci sussurrano dentro”.

Tali dichiarazioni suonano come opinioni strumentali di parte, un’autonarrazione eccessivamente e fastidiosamente compiaciuta che sembra voler riaprire, per l’ennesima volta, la diatriba sulla collocazione politica dello studioso, svilendo in qualche modo la mostra.

J.R.R. Tolkien

Questa volontà di concentrarsi così tanto su di “un certo” Tolkien, quasi a deformandolo, si palesa appieno appena si esce dalle prime sale (cariche di manoscritti autografi, lettere, memorabilia, fotografie, libri, documenti originali, filmati e ricostruzioni virtuali delle prime edizioni dei libri, inclusa un’esposizione di ottocento edizioni de Lo Hobbit e de Il Signore degli Anelli) per addentrarsi nella sezione dedicata alle illustrazioni.

Esse risultano, infatti, assemblate senza una chiara strategia espositiva, addirittura con fotocopie su tela delle opere di noti disegni.

Nell’ultima sala dell’esposizione, dedicata alle permutazioni e variazioni moderne dell’opera tolkeniana più famosa, il risultato è oltremodo deludente, con fumetti esposti (tra gli altri un albo di Tex, uno di Legs Weaver, La profezia dell’armadillo di Zerocalcare) senza didascalie che motivino la loro presenza.

Tre diorami impolverati (persino danneggiati) con le miniature della Games Workshop che ricostruiscono alcuni momenti dei film, un flipper, una vetrinetta contenente alcuni giochi di tavolo ispirati all’ambientazione “tolkeniana” e tre costumi di scena: una microscopica frazione, neanche lontanamente rappresentativa dell’enorme influenza esercitata Tolkien sul mondo ludico moderno.

Anche non volendo considerare gli occasionali refusi sulle didascalie, dovuti probabilmente alla fretta dell’ultimo momento nell’allestimento, la mostra risulta meno che interessante e pensata probabilmente rivolgendosi ad una tipologia molto specifica di pubblico; incapace, quindi, di generare un senso di meraviglia nell’animo dello “spettatore” occasionale. 

In conclusione, si tratta (purtroppo) soltanto di una polverosa e superpubblicizzata esposizion, fortemente voluta dalle istituzioni per interessi politici ed interamente priva di magia.

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