Il percorso artistico di Will Smith ha quasi del fenomenale (visto in un’ottica tutta italiana): da attorucolo di sit-com demenziali o personaggio di filmetti d’azione di bassa leva, fino al balzo verso una serie di ruoli in pellicole drammatiche di tutto rispetto, che ne hanno saputo mettere in luce le grandi doti recitative (fino a quel momento nascoste). Così è stato per La ricerca della felicità, così è ora per Io sono leggenda, horror fantascientifico/apocalittico in cui l’attore afroamericano è costretto a tenere la scena da solo, con l’unica compagnia di un cane, per più di un’ora. E lo fa egregiamente. Peccato che i pregi del film diretto da Francis Lawrence si fermino tutti qui.
In un mondo letteralmente devastato da un virus che ha portato la razza umana sull’orlo dell’estinzione (chi si è salvato è diventato una sorta di zombie rabbioso e fotofobico), un solo uomo si aggira per una New York deserta e allo stato semi-selvaggio: accompagnato da un cane, non solo è uno dei pochi milioni di esseri umani di tutto il pianeta rimasti immuni, ma è anche l’unico ricercatore in grado di trovare una cura al morbo. Tenta invano di mettersi in contatto con altri sopravvissuti e quando ciò accade, l’incontro con una donna e il suo bambino gli donerà la speranza perduta.
Raccontata così, in poche parole, quella sceneggiata da un pezzo grosso come Akiva Goldsman – adattando l’omonimo romanzo di Richard Matheson – potrebbe anche sembrare una storia degna di questo nome. E invece per più di un’ora siamo di fronte solo ad un videogioco su grande schermo, con mostri che sbucano qua e là e un tipo armato di fucile e alla guida di un’auto potente che tenta di farne fuori il più possibile e salvarsi la pelle. Peccato che se si prende in mano l’ultimo dei videogiochi di genere per PlayStation non si trovano effetti speciali così scadenti: francamente, nel 2007 vedere scene e personaggi le cui fattezze digitali si distinguono lontano un miglio, sa di sciatteria evitabile.
In tutto ciò, tanto di cappello – come detto – per la performance di un Will Smith che è completo padrone della scena e non fa sentire la mancanza di una spalla (umana). Ma un’ora di solitudine è troppo anche per lui e lo sarebbe per chiunque. L’incontro con l’altra superstite, purtroppo relegato alla mezz’ora finale, è una boccata d’aria fresca per lo spettatore, che finalmente assiste a qualche dialogo e riesce a comprendere i sottotesti “filosofici” (anche lodevoli – per carità) che danno un senso ad un film che fino all’ultimo potrebbe essere relegato al genere horror apocalittico nudo e crudo, come ennesima coniugazione del paradigma dei film di zombie.
In realtà non è così, ma lo si comprende solo tardi. Io sono leggenda poteva sfruttare meglio la buona base letteraria da cui è tratto, ma – sembra assurdo dirlo – per certi versi è anche migliore di quanto ci si potrebbe aspettare da un film di questo tipo e con questa trama. In ogni caso, è poco consigliabile sia a chi ama l’azione dura e pura (si è visto di meglio nel campo della spettacolarità), sia a chi cerca un film di fantascienza finalmente degno di questo nome. Delusione.
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si hai ragione e 1 cagna attrice nata!!!
il film e fantastico…a me è piaciuto moltissimo…qnt e bono willy smith..:)
Concordo. 😉
Ironica, sei unica! 😀
Segnaleremo all’Academy! 😉
Vorrei sottolineare l’intepretazione della cagna (senza offesa) che nel ruolo di Samantha (detta Sam) concorre senza dubbio al massimo premio, come migliore attrice non protagonista. (E non scherzo).