Alla domanda “Come stai?”, Lenny Savage risponde sempre con un sospettoso “Non c’è male”; parole che, nello sconforto, sembrano diventare panni bagnati su di un ferro rovente piuttosto che attestati di verità. Savages – questo il titolo originale – è l’esatto contrario dell’amore eterno inscenato da Sarah Polley in Away from Her – Lontano da lei, pellicola altrettanto potente ma diversa nei modi e nei toni.
Sfalsati da precedenti drammi familiari, Jon e Wendy Savage si mettono in contatto con il loro padre per cercare di aiutarlo a superare l’imminente demenza che sta per scollegarlo definitivamente dalla realtà. I due figli però si limitano a cercare una casa di cura, evitando eccessivi pietismi: attestati di un’indifferenza a sua volta portata avanti dal padre nei loro confronti in età adolescenziale. In famiglia non scorreva buon sangue, e la violenza persuasiva con cui Lenny Savage si serviva per educarli ha fatto sì che i figli nascessero in un certo senso dementi a loro volta, cioè privi di obbiettivi e oppressi da una confusa cappa emotiva. Nel continuo mutismo del padre, i Savage rappresentano i problemi risultati dall’incomunicabilità familiare, a dispetto di quanto possano far intendere all’esterno. Ma non è detto che dagli errori non si possa imparare, così, anche una lampada colorata dall’indubbia utilità riesce laddove fiumi di parole e violenze in passato hanno fallito – dando pieno potere ai piccoli gesti.
Wendy tuttavia si sente un mostro per via del fatto che nessuno, neppure il padre più dispotico e cattivo, può venir meno all’affetto familiare durante i suoi ultimi momenti di vita… Jon di contro, rinfacciandole la realtà, dichiara quanto siano i sensi di colpa a far maturare le case di riposo: luoghi freddi e incolore in cui le persone non vengono curate ma raccolte verso una fine comune. Nella continua lotta verbale tra i due, Tamara Jenkins evita intelligentemente palesi eccessi artistici, dirigendo (e scrivendo) nella maniera più coerente e fedele possibile, la dura vita familiare.
La famiglia Savage non è però un dramma a tutto tondo, come potrebbe sembrare a primo impatto: il contrasto visivo/ironico/musicale – immagini colorate e positive, avallate da continui stacchi sonori dal chiaro carattere vintage – delinea gli elementi chiave della commedia nera anni ’50. Il trio di attori formato da Laura Linney, Philip Seymour Hoffman e il silente Philip Bosco permettono al film di sopraelevarsi con mirata efficacia; merito di una recitazione a metà tra il naturale e il grottesco. Una pellicola atipica, che diverte, commuove e fa riflettere con imbarazzante naturalezza.
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