Lo chiamavano Jeeg Robot_locandinaPresentato in anteprima alla decima edizione della Festa del Cinema di Roma il 17 ottobre 2015 ed a Lucca Comics & Games il 30 ottobre, Lo chiamavano Jeeg Robot narra la storia di Enzo Ceccotti, uno sconfitto dalla vita: piccolo criminale nato e cresciuto nella borgata romana di periferia trascorre i suoi giorni tra DVD porno, senza alcuno scopo e senza affetti. Durante una rocambolesca fuga, l’uomo entra in contatto con una misteriosa sostanza che andrà a donargli una forza ed una resistenza incredibili: scambiato dalla folle Alessia per il personaggio del suo cartone animato preferito, Enzo dovrà decidere se usare le sue nuove capacità per soddisfare i propri egoistici desideri o divenire un simbolo per gli abitanti di una città sotto il giogo del terrorismo.

Il regista Gabriele Mainetti che, insieme a Nicola Guaglianone, aveva già dato buona prova di sè con i corti Basette e Tiger Boy, propone un film supereroistico, una vera rarità nel panorama italiano, dalla struttura classica e dall’impianto narrativo consolidato innestato in un setting realistico: un sincretismo che ha dato risultati insperati.

Penetranti e credibili tutti i personaggi, asteroidi che per caso si toccano, scontrandosi spesso con violenza e cambiando (trovando) la propria rotta: Luca Marinelli nel ruolo dello Zingaro, già personaggio cult, si pone come un villain perfetto e credibile, sfaccettato e lucidamente folle al pari di un Joker di Nolan, un mostro sin troppo umano plasmato dalla civiltà televisiva dell’apparire, generato dall’Isola dei Famosi e da La Fattoria, nemesi ideale di un Santamaria imbolsito e passivo che trova nell’Alessia, interpretata perfettamente da Ilenia Pastorello, la forza necessaria per il suo riscatto e redenzione finale.

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Il film trova i suoi punti di forza evitando trappole insidiose: non (solo) per nerd, sebbene strizzi sornione l’occhio ad una certa sottocultura (vedi il negozio per otaku di Cinecittà) e non caricandosi il fardello di una rischiosa e talvolta sprecata autorialità unita al documentario sociale, il film si muove su solide gambe che gli concedono qualche inevitabile scivolone (vedi i napoletani che sembrano conoscere sempre i movimenti dello Zingaro, topos del genere qui forse mal sfruttato) senza reali conseguenze. L’origine delle capacità superumane di Enzo, abbastanza vaga e volutamente stereotipata, lascia spazio al concetto de “i grandi poteri che portano grandi responsabilità” in uno scenario da Romanzo criminale non patinato, feroce e nel frattempo tenero ma mai venduto alla commercialità facile e ruffiana.

Nonostante il budget di 1.700.000 euro, stanziato interamente da Goon Films (la società di produzione di Gabriele Mainetti) e da Rai Cinema il film ha delle carenze nel reparto degli effetti speciali, di certo non eclatanti e mantenuti al minimo indispensabile per non palesare troppo il loro livello qualitativo da dignitoso B movie: è comunque probabile che un budget superiore avrebbe valorizzato sostanzialmente la storia attraverso un’estetica più raffinata ma rimane il dubbio che la narrazione ne avrebbe forse sofferto. L’unico appunto da fare è sulla lunghezza eccessiva della parte finale del film, forse non sufficientemente incisiva e probabilmente diluita oltre il necessario ma che nulla toglie al valore dell’opera che è stata riconosciuta, giustamente, come di Interesse Culturale Nazionale dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali perché rappresenta il meglio di ciò che il cinema italiano di genere può dare, senza imboccare le solite, banali, facili vie di fuga.

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