Un anno e mezzo è trascorso dalla devastante battaglia di Metropolis tra Kal-el (Henry Cavill), ultimo figlio di Krypton adottato dal Kansas, e l’armata dello spietato generale Zod: mentre la città riprende lentamente la sua vita l’umanità osserva con un crescente misto di apprensione e stupore reverenziale i poteri terrificanti del Superuomo alieno: tra coloro che temono le possibili azioni dell’incomprensibile “falso dio” vi sono l’influente presidente della LexCorp Lex Luthor (Jesse Eisenberg) e Bruce Wayne (Ben Affleck), miliardario playboy e vigilante mascherato di Gotham City.
Salvando la sua amata Lois Lane (Amy Adams) da un pericolo mortale Superman cade in una trappola diabolica, un complesso intrigo teso da Luthor che lo porrà contro il Cavaliere Oscuro: chi avrà la meglio tra l’uomo e la divinità incarnata?
Batman v Superman: Dawn of Justice è il secondo capitolo della serie iniziata con il Man of Steel e vero, seppur tardivo, trampolino di lancio dell’universo DC cinematografico: il primo guanto di sfida lanciato verso quell’universo Marvel su celluloide che si è ritagliato negli ultimi anni uno spazio rilevante nell’immaginario collettivo.
Zack Snyder che con le sue trasposizioni/interpretazioni di 300 e Watchmen e col visionario e feticistico Sucker Punch ha di certo raggiunto il pantheon dei registi di genere si aggancia e riprende il suo Man of Steel e suggendo dal milleriano “Dark Knight Returns”, pietra miliare del fumetto d’azione d’autore, destruttura i due protagonisti, mostra spietatamente il loro scheletro interiore e dalle loro icone costruisce due personalità fragili e ferite, due individui mostruosi e sin troppo umani che cercano di riplasmare il mondo basandosi su una pesante eredità ricevuta.
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La scelta di Ben Affleck come Bruce Wayne/Batman, criticatissima da parte dei fan dopo il non eccelso ma troppo bistrattato Daredevil, si è dimostrata arguta: se non il miglior Batman cinematografico di sempre l’attore dona al suo personaggio una fisicità massiccia, necessaria per un combattente tanto astuto quanto brutale, mosso dall’istinto e meno saggio e corazzato dei suoi predecessori. Cavill, nel poco tempo concessogli, riesce a sviluppare solo in parte il suo personaggio ed a trasformare il suo rapporto con il mondo: il suo Superman non teme più che il mondo non lo accetti ma percepisce il peso delle aspettative e delle paure dell’umanità, peso che mina le sue sicurezze in più di una occasione.
Discorso a parte per Jesse Eisenberg che dopo memorabili Gene Hackman e Kevin Spacey deve prendere sulle sue spalle il ruolo della nemesi per antonomasia di Superman, Lex Luthor: ed è un Lex Luthor che si discosta da ogni sua versione precedente, più nerd genialmentalmente instabile che genio del male ricolmo di diabolico carisma, un personaggio psicologicamente verosimile che fortunatamente evita il macchiettismo deformante dei Von Doom cinematografici ma lascia un senso di perplessità.
I tempi di BvS sono notevolmente lenti ed alcune scene di azione nella prima parte del film, palesemente inserite con l’idea di anticipare lo scontro finale, risultano senza reale impatto sulla trama: Snyder ancora una volta costruisce il suo mood gradualmente, fa giocare i suoi numerosissimi personaggi, offre loro uno spazio anche minimo generando diverse sottotrame che si sfiorano prima di fondersi nella seconda parte del film e letteralmente esplodere. Ed è la seconda parte a lungo attesa porta il film a suo prevedibile ed inevitabile compimento tra pugni, disintegrazioni e raggi ottici attraverso un cambio di opinioni repentino e forse semplicistico.
Fosco, tra quel serio ed serioso ben lontani dalla leggerezza compagnona e simpaticamente cialtrona dei film Marvel BvS non ha comunque tempi morti, è spesso piacevole e sempre visivamente impressionante: il problema reale sorge nei contenuti pregni di significato ripetutamente proposti ma mai concretizzati, nei temi filosofici accennati e mai sviluppati che lasciano allo spettatore un (voluto?) senso di incompletezza e di attesa per i film successivi.
Da vedere.
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