Cloverfield

Mostruosamente noioso! A dispetto della massiccia campagna di marketing che ha cosparso ad arte la rete per mesi, prima con trailer e indiscrezioni pseudo-misteriose e poi con giudizi prezzolati che ne esaltano il presunto orrore, sono queste le uniche due parole che Cloverfield suscita in tutta onestà. Ma J.J. Abrams è uno che con il web ci sa fare (d’altronde è così che è riuscito a rendere fenomeno planetario una fiction superficiale e contenutisticamente scadente come Lost) e ha capito che portare YouTube al cinema sarebbe stata la logica conseguenza dell’evoluzione della rete. La mossa si è rivelata abbastanza vincente, seppure il trend in netto calo degli incassi americani sta rivelando quanto fragile sia il castello pubblicitario che sta dietro a questo prodotto.

In molti hanno accostato il fenomeno Cloverfield al primo esempio di sfruttamento delle dinamiche di internet in campo cinematografico, ossia The Blair Witch Project: ma laddove lì c’era un filmetto girato con pochi dollari e privo di una vera storia o di un’idea, qui il budget c’è (e si vede) e bisogna anche ammettere che l’originalità non manca. Se infatti la trama da horror apocalittico con tanto di super-mostro è quanto di più stravisto al mondo, da Godzilla a King Kong, è anche vero che la tecnica usata aggiunge un’innovazione notevole al genere: il regista Matt Reeves mette la macchina da presa in mano ad un cameraman professionista, fa riprendere tutto in soggettiva, cela il volto del protagonista agli occhi dello spettatore e mostra solo ciò che lui vede, con tanto di traballii e inquadrature del terreno e del cielo. Mescola perciò sapientemente l’effetto “ripresa amatoriale” con la tecnica professionistica, evitando il mal di mare allo spettatore.

Al di là dell’assurdità cui il pubblico accetta di sottostare (è ridicolo pensare che qualcuno continui a riprendere ogni cosa mentre attorno a lui c’è l’apocalisse, gli amici muoiono e un mostro misterioso distrugge la città!), diverse scene puntano apertamente a colpire le ferite della memoria collettiva con scarsissimo tatto: il crollo dei grattacieli e il panico cittadino sono presi di peso dalle immagini che la tv ci ha mostrato l’11 Settembre – ed è una mossa tanto spudorata quanto indelicata. Poche altre sequenze mirano invece a terrorizzare, mostrando l’attacco del mostro e dei vari mostriciattoli, mentre il resto del film gioca tutto sul non-detto, anzi sul non-mostrato: tutto sommato il famigerato mostro si intravede appena e la camera gli regala solo qualche sporadica inquadratura di sfuggita e un solo primo piano.

Non è certo questa la via per generare il tanto sbandierato terrore. Si rimane tutto il quarto d’ora iniziale a contemplare il nulla della festa dei protagonisti e si perde poi un’ora appresso alla fuga dei personaggi. Non si vede niente, si sentono solo urla, si intuisce a mala pena cosa stia succedendo, mentre la noia ha il sopravvento già a metà proiezione. Per fortuna che il supplizio dura 70 minuti appena! Ma sembrano due ore.

J.J. Abrams è un produttore, non un cineasta. Uno che sa vendere, non uno che sa fare cinema (non ce ne voglia Reeves, ma il film non è veramente suo e si sa…). Per cui ha saputo venderci qualcosa: ma non è affatto detto che ciò che viene comprato valga la spesa. E Clovefield lo dimostra.

 

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