spirit

Dopo Sin City, il fumettista Frank Miller, prestato con notevole successo al cinema, torna alla regia, questa volta in solitaria, per adattare una vecchia serie a fumetti degli anni Quaranta e Cinquanta, firmata Will Eisner. Nonostante i buoni lavori fatti in sede di scrittura sia con Sin City che con 300, qui Miller – che si ripropone anche come sceneggiatore – fa il lavoro a metà, mettendo in serio pericolo la qualità del film: se infatti nulla si può dire dello stile autoironico o dei dialoghi ora folli ora caustici, la quasi totale assenza di trama mina la scorrevolezza dell’opera. E non essendo di fronte al cinema intimista svedese… è un difetto notevole.

A dispetto di quanto se ne voglia dire (e scrivere) infatti, lo stile umoristico-demenziale, a rasentare la parodia di se stesso, è il marchio di fabbrica del film: non accettarlo, bollarlo come errore o denunciarne la pesantezza della reiterazione vuol dire non aver compreso l’opera o (peggio ancora) non avere senso dell’umorismo. Ma forse chi critica questo fa parte della stessa (ridotta) schiera che riuscì a sparare persino su Sin City: e allora siamo felici di dissentire. La comicità assurda e straniante delle situazioni e dei dialoghi è infatti tanto caratteristica quanto lo è lo stile grafico. Anzi di più: quest’ultimo ricalca infatti proprio quello del primo lavoro di Miller come regista, seppure qui ogni inquadratura, ogni spruzzo di sangue color pastello, ogni sequenza disegnata sono un omaggio ad una tavola di Eisner. Una delizia per i fan e un gioia per gli occhi di chi adora l’arte fumettistica.

Se della confezione non si può scorgere difetto, altrettanto – come detto – non si può dir per la (non) trama di The Spirit: al centro c’è l’omonimo paladino della giustizia (Gabriel Macht), reso semi-immortale da un esperimento compiuto sul suo corpo dopo la sua morte. Il suo nemico giurato è Octopus (Samuel L. Jackson), che vuole raggiungere l’immortalità e poi distruggere la città: ad aiutare lui e ad ostacolare a vario titolo Spirit, tutta una sequela di donne strane e misteriose ma dalla bellezza accecante.

Proprio loro, che rispondono ai nomi altisonanti di Scarlett Johansson, Paz Vega ed Eva Mendes, sono l’anello di congiunzione che lega l’estetica del fumetto a… quella della realtà, rimanendo comunque su un piano virtuale, tanto irreale e perfetta appare la loro bellezza. Assegnate tutte e tre a ruoli divertenti e divertiti, sono la marcia in più del film per la loro bravura e capacità di prendersi poco sul serio: si distingue in particolare la Johansson, azzeccata assistente di Octopus, compita e castigata, ma più matta di lui. Nonostante ciò il vero protagonista e il vero mattatore è Samuel L. Jackson, che dà un senso tutto personale al suo personaggio, trasformandolo da villain spento e poco attraente (quale la sciatta trama vorrebbe) a padrone della scena con le sue movenze eccentriche. Tutto il contrario di Macht aka Spirit, protagonista solo sulla carta, tanto anonimo è sul set.

Di sicuro comunque la bravura del cast e la stravaganza dello stile (estetico e verbale) non basta a sorreggere il film per più di un’ora e mezza: le formule si ripetono troppo e troppo spesso, costrette a farlo dall’assenza di una storia vera e propria. Così l’ultima mezz’ora si trascina stancamente, a riflettere su ciò che un’opera così “simpatica” sarebbe potuta essere con un sceneggiatura più curata. Non resta che aspettare Sin City 2 e incrociare le dita.

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