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Alle spalle dell’operazione sequel che Carlo Verdone ha messo in piedi con Grande grosso e… Verdone c’è un battage organizzato per anni dai fan di quegli oramai mitici personaggi italioti che il popolare comico si è lasciato alle spalle appena ha potuto. Sarà che quello era il Verdone che più ha fatto ridere e quello che tutti ricordano, sarà che – dal punto di vista comico – non ha più avuto lo stesso successo di quando interpretava quei ruoli: sta di fatto che quest’operazione nostalgia sulla carta poteva far piacere a molti (fan e non). Ma la casistica non si smentisce nemmeno stavolta e il risultato lascia molto a desiderare, se si esclude qualche guizzo nel finale.

I personaggi di questo sequel sono la versione adulta e con figli di quelli di Viaggi di nozze, più che di quelli ancor più storici di Bianco rosso e Verdone (il titolo potrebbe infatti trarre in inganno). Abbiamo infatti Leo il tontolone alle prese con il raduno nazionale di boy scout, cui dovrebbe andare con tutta la famiglia, se la morte della madre non lo costringesse ad organizzare invece il funerale, dato in mano ad un coattissimo impresario di pompe funebri che ne combina di tutti i colori. C’è poi il solito professore universitario iper-preciso, deciso a dare una svolta alla vita solitaria del povero figlio ventenne: gli troverà una ragazza “per bene” e costringerà i due a vivere sotto l’arcigno tetto paterno. E infine, fa il suo ritorno Il Coatto, l’archetipo che ha reso famoso Verdone: qui si trova in vacanza assieme alla mogie (Claudia Gerini) e al figlio in un grand hotel di Taormina, dove l’inimitabile “stile” dei tre ne farà succedere di cotte e di crude.

La scelta di dividere la narrazione in 3 blocchi, in tre capitoli divisi (abbandonando il vecchio stile, che montava alternandole le vicende dei 3 personaggi) risulta in fin dei conti perdente: appesantisce il racconto e non gli dà il giusto slancio. Specie se si considera che il bilancio dei primi due capitoli è veramente deludente: nel primo atto si assiste allo spettacolo semi-pietoso di un Verdone troppo invecchiato per ricordare il suo personaggio, col risultato che il tutto sa quasi di ridicolo (compresa la scelta di far doppiare a Verdone stesso i figli di Leo), col solo riuscitissimo personaggio dell’impresario di pompe funebri a strappare qualche risata; mentre il secondo capitolo vorrebbe mascherare la trama più flebile dei tre con tiratine contro la politica e i finti perbenismi di facciata dell’alta società (il professore è infatti il personaggio più pulito esternamente, ma più sporco e odioso nella vita privata).

Spetta al terzo e ultimo atto il compito di risollevare le sorti del film: quello del coatto in vacanza è il personaggio più riuscito, l’unico veramente comico, l’unico in cui non si sentono i segni del tempo sulla verve umoristica di Verdone. In sintesi, l’unico che si rivedrebbe con piacere. La vera differenza con gli analoghi film precedenti infatti sta tutta in questo: quelli si rivedono con gusto, questo passerà presto nel dimenticatoio, siamo pronti a giurarci.

Rimangono quelle storie comiche sempre venate di tristezza, di malinconia (e di tanto trash), in pieno stile verdoniano. E rimarrà quel terzo capitolo da antologia sociologica dello spirito coatto moderno. Ma è difficile che per così poco questo film possa permanere a lungo nella volatile memoria del pubblico di massa.

 

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