DragHell

Da Kubrick a Fellini, da Bergman a La notte dei morti viventi di George Romero, Sam Raimi predilige i maestri della suspense ai nuovi, ma consumati horror del ventunesimo secolo, scegliendo d’ispirarsi alla sublime arte narrativa di Hitchcock piuttosto che a quel genere filo-splatter in salsa grottesca di cui si è ormai sin troppo saturi. E dopo un’assenza durata ben sedici anni, con un conto alla rovescia iniziato da L’armata delle tenebre e tenuto acceso dall’acclamata trilogia di Spiderman, il regista de La casa torna a dirigere un film in cui il terrore si amalgama alla perfezione con una disarmante ironia.

Scritto assieme al fratello Ivan nel lontano 1989 e trasformato in uno script più attuale e funzionale solamente nel 2002, Drag Me to Hell è finalmente giunto sul grande schermo, grazie anche ai tempi d’attesa che permetteranno la realizzazione del quarto capitolo delle avventure firmate Uomo Ragno.

Assolutamente in sintonia con la recente crisi economica e con l’impasse sorta dall’euroburocrazia e le leggi sull’immigrazione, la pellicola affronta in chiave farsesca il tema dell’arrivismo manageriale e del pregiudizio economico-razziale del nostro tempo, avvalendosi, con dovuto rigore, dell’enfasi di un personaggio eticamente fallimentare. Si riassume nel disperato tentativo di metter fine ad un’antica maledizione ed ha inizio in una banca della città degli angeli, dove a Christine Brown, onesta addetta alla concessione dei prestiti, viene improvvisamente data la scelta di impressionare il suo capo per ottenere un’agognata promozione o di continuare a sbrigare con integrità morale il proprio incarico. Forte della sua posizione ottimale, il momento della decisione arriva per Christine forse, eccessivamente in fretta, quando la signora Ganush, un’anziana alquanto malridotta e dalle sembianze di zingara, la supplica per ottenere una proroga del prestito ricevuto per pagare il mutuo della casa. Sfortunatamente inconsapevole delle conseguenze alle quali andrà incontro e gratificata da una sempre più vicina carriera da vicepresidente, la ragazza si rifiuterà di aiutare la povera vecchia, scatenando la collera ed il desiderio di vendetta di quest’ultima.

Nel cast artistico, com’è ovvio che sia, compaiono dei nomi davvero interessanti, a partire da quello di una trascuratissima Alison Lohman (Christine). Trascuratissima perché, se una gran parte delle sue coetanee ha avuto ed ha tuttora costanti proposte per ruoli di successo in film dall’alto budget di produzione e, a seconda dei casi, dal minor impegno recitativo, quest’appena ventinovenne figlia di un architetto e di una panetteria americani ha spesso, e con fatica, collezionato ruoli che le hanno dato evidenza soltanto in quel giro di personali opinioni registiche di cui gli spettatori – materia prima del cinema – non fanno parte. Affamata di fama ma al contempo nota per le sue straordinarie doti naturali, quindi, l’abbiamo già vista in White Oleander al fianco di attrici come Michelle Pfeiffer, Robin Wright Penn e Renée Zellweger, nonché nell’indimenticabile parte di una quattordicenne nel bellissimo Il genio della truffa, con Nicolas Cage e Sam Rockwell. Senza dimenticare partecipazioni minori in Big Fish e The Big White, per finire con il rispolverare considerevoli insuccessi quali False verità e Noi due sconosciuti.

Ad interpretare la parte dell’affascinante professore fidanzato con Christine è il lanciatissimo Justin Long, recentemente notabile ne La verità è che non gli piaci abbastanza. E se lui è capace di restare anonimo e distaccato persino nella parte del simil-spettatore, Lorna Raver, nei panni della misteriosa signora Ganush, eccelle nelle sue terrificanti e private scene d’azione dal retrogusto stomachevole ma esilarante.

You May Also Like

More From Author

+ There are no comments

Add yours