Cargo 200 è un nome che indica le bare sovietiche di ritorno dalla guerra Afghana. Al loro arrivo è richiesta l’attesa ufficiale della famiglia, onore, bandiere, orgoglio patriottico. Ma lo stato in cui nella seconda metà del 1984 fanno ritorno le vittime è un regime allo sfascio, dove la giustizia è violentemente ed arbitrariamente amministrata da chi detiene il potere militare. Tutto è possibile quando l’alcool continua a scorrere e la musica si fa sempre più metallica.

Aleksey Balabanov gira un film crudo, violento, sincero, che con grande ritmo trascina lo spettatore ai piedi di un letto dove sarà consumato uno stupro sempre più macabro nella sua reiterazione. Seguendo le vicende di due fratelli integrati, uno militare, l’altro insegnante di ateismo scientifico, il regista presenta il mondo di coloro che credono ancora in qualche cosa, prima di virare energicamente sul mondo dei giovani, che tentano di cogliere qualsiasi occasione per affrancarsi dal grigiore e fare cassa.

La vodka rappresenta sempre di più l’ultima spiaggia per chi immobile non ha alcuna possibilità, se non quella di anestetizzare il cervello sperando di ridurre l’orrore che gli corre miseramente incontro. La violenza del poliziotto si mischia a quella del condannato a morte, generandone una terza, quella di chi disperatamente osserva a lungo prima di dissotterrare l’arma e fare fuoco nel tentativo di porre fine ad un incubo.

La crisi di chi credeva nel partito e nello stato da esso edificato è profonda. Le ferite inferte dal regime sono in molti casi insanabili. La violenza, la mancanza di diritti, la diffidenza ed il sospetto nei confronti del prossimo caratterizzano un paese che invece di costruire una città del sole dove tutti sono uguali, sembra aver seminato rancore e crudeltà, inaridendo e castrando per chissà quanti anni ancora il germe rivoluzionario e consegnando il più grande paese del mondo nelle mani di spie e mafiosi in guerra con spietati oligarchi.

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