Il film “sportivo” con Brad Pitt che si è portato a casa sei nomination all’Oscar. Le virgolette sono d’obbligo, visto che L’arte di vincere usa il baseball come metafora della società, più precisamente dell’America, e partendo da qui ci regala una visione dello sport – pardon, della politica – basata su ideali etici e reale passione. Billy Bean (Pitt) è un uomo che ha ricevuto solamente delusioni come giocatore, e ora che è general manager di una squadra scalcinata ma che riesce comunque a cavarsela, gli Oakland Athletics, tutto quello che desidera è cambiare il sistema dall’interno.
L’occasione gli viene offerta dal provvidenziale incontro con Peter Brand (Jonah Hill), fresco di laurea in economia. Peter è convinto che una grande squadra di baseball si possa mettere su anche basandosi solamente sulle statistiche e sulle capacità dei singoli, senza ricorrere necessariamente alle leggi del mercato e a nomi costosissimi.
Fuori i tre giocatori più blasonati degli Oakland, Billy e Peter costruiscono una squadra fatta di scarti, che getta nel panico i dirigenti e l’allenatore Howe (Philip Seymour Hoffman), che però piano piano saranno costretti a dare ragione al folle piano dei due.
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Non serve essere appassionati di baseball per apprezzare la carica emotiva di un film ottimamente costruito, incentrato su una splendida figura di perdente (anche nella vittoria) magistralmente interpretata da Pitt. Un uomo che non ha minimamente fiducia nei propri mezzi, quasi sempre sorpreso piuttosto che compiaciuto dal successo, attanagliato da piccole nevrosi e grandi conflitti, che lentamente riesce a comprendere le dinamiche della vittoria e a capire che più ci si lavora, meno le si vive come se fossero soltanto colpi di fortuna.
Dietro a L’arte di vincere, più semplicemente, c’è la realizzazione estrema del vecchio adagio “l’unione fa la forza”. E’ il fatto che riesca a convincerci che possa essere vero, in un’epoca in cui la disillusione è la regola, a renderlo un grande film.
Thanks to Movielicious! 😉
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