Presentata al Festival di Cannes 2023  nella sezione Un certain regard, Niente da perdere (Rien à perdre), opera prima della regista francese Delphine Deloget sarà nelle sale italiane il 16 Maggio grazie a Wanted Cinema.

Il film è stato presentato in anteprima all’interno della XIV Edizione della rassegna Rendez-Vous, finestra di, sempre, grandissimo interesse per quanto riguarda la cinematografia d’Oltralpe.

Cineasta impegnata nel cinéma du réel – i suoi documentari sono stati selezionati e premiati in numerosi festival in Francia e all’estero -, Deloget arriva al lungometraggio di finzione alla soglia dei cinquant’anni, con tutta l’esperienza e la maturità artistica necessarie ad affrontare un tema scabroso come quello di una madre single alle prese con due figli maschi in età critica.

Ma Sylvie (Virginie Efira) è soprattutto una donna che vorrebbe vivere la propria vita in modo ragionevolmente libero e si trova a fare i conti con una realtà dura fino all’ottusità: così sono, spesso, gli apparati pubblici ai quali è demandata la gestione dei rapporti sociali.

La sceneggiatura, originale pur se debitrice in modo dichiarato del cinema di Ken Loach (vedi Ladybird, ladybird), ruota intorno al ruolo di una madre sulla quarantina, che progressivamente si vede togliere la potestà genitoriale sul figlio minore a causa di un meccanismo inesorabile che, con il fine supremo di tutelare l’infanzia, rischia di stritolare i nuclei familiari più deboli.

Sylvie vive in una grossa città portuale con i due figli, Sofiane e Jean-Jacques.

Una notte, mentre lei come al solito sbarca il lunario lavorando in un pub, il figlio più piccolo si sveglia con l’insana idea di prepararsi delle patatine fritte. Ovviamente fa un gran casino, manda in fumo la cucina e si ustiona. Il fratello più grande, J-J, lo trasporta a bordo di un carrello da supermercato al più vicino pronto soccorso, dove li raggiunge la madre. Spavento, pianti, ma insomma tuttapposto, si torna a casa.

Purtroppo, però, il passaggio di un minore in un ospedale pubblico comporta che i servizi sociali siano allertati. Prima chiamano, e lei quasi gli attacca il telefono; poi vengono a casa, fanno domande, si informano su cosa fa la madre, con chi vive, se lascia spesso i figli a casa da soli… in breve, i servizi propongono e il giudice tutelare dispone: il bambino deve andare in una casa-famiglia, dove sarà al sicuro. All’inizio è un periodo breve, ma poi viene prorogato, perché la situazione di Sylvie, ahilei, non è cambiata: è sempre single, deve pur sempre lavorare.

La tensione cresce, e così la disperazione di Sylvie, che pure ha il conforto di molti amici e di un fratello un po’ algido, ma impotente a frenare la macchina burocratica. Naturalmente lei fa qualche stupidaggine, è una madre certamente non “perfetta” ma determinata, si rifiuta di conformarsi a un sistema troppo rigido, fatto su misura per le famiglie “normali”, non per quelle che andrebbero aiutate veramente.

Con una Virginie Efra fenomenale e ottimamente diretta, questo dramma sociale trova il suo naturale svolgimento fino ad una soluzione imprevedibile che, forse, è l’unica possibilità rimasta a una donna che vive in modo intenso e commovente.

Al termine dell’anteprima nazionale presso il Cinema Nuovo Sacher di Nanni Moretti, il confronto con Efira e Deloget è stato appassionato, proprio come il loro film.

“Volevo filmare”, afferma la regista, “quello che resta in una famiglia, quando tutto esplode”. E, malgrado lo svolgersi della trama tra naturalismo e fiction abbia una sua logica conclusione, “è stato difficile scrivere il finale ma in effetti l’esito è una specie di suicidio sociale”: una vicenda senza vinti ma soprattutto senza vincitori, forse anche perché i protagonisti sono personaggi un po’ al margine, anche per la scelta della location – la provincia anziché la “solita” Parigi.

La regista Delphine Deloget
La regista Delphine Deloget

D’altronde, i fratelli Dardenne sono i numi tutelari sotto la cui protezione è nato e cresciuto questo pregevole Rien à perdre.

La parola all’attrice principale, posta di fronte alla scelta di quale tipo materno interpretare: “Madre coraggio, madre borderline… meglio il concetto nudo e crudo: madre e basta!”. Del resto, afferma l’affascinante ed assai talentuosa Virginie Efira, è bene essere “capaci di incarnare più tipi di donna, anche se l’amore assoluto per i figli è il motore di tutto ciò che fa la mia Sylvie”.

Proprio come una mamma qualunque… ma Virginie/Sylvie ha un temperamento a dir poco vulcanico: dovendo adottare, su indicazione della regista, un modello al quale ispirarsi, lei ha scelto Jack Nicholson ed il modo che aveva di mettersi le mani in tasca, come a contenere la rabbia.

Non c’è che dire: con questa regia e quel role model, questo piccolo grande film rischia di andare molto lontano.

Una visione che vi consigliamo caldamente.

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