Uno strepitoso James Ivory tra viaggi nel tempo e memorie personali
La Festa del Cinema di Roma ci ha regalato la prima perla di questa diciassettesima edizione: il regista di capolavori che vanno da Maurice a A Room with a View recupera alcuni vecchi rulli contenenti il girato di un documentario sull’Afghanistan, risalenti al 1960, anno in cui ricevette la ragguardevole somma di ventimila dollari per girare due film in Asia, stanziati dalla famiglia Rockefeller.
Dopo l’afosa, caotica India, Ivory volse la propria attenzione a questo ignoto e ancora pacificato Paese dell’Asia minore, così come lo era “prima dei talebani, dei mujaheddin, dei sovietici e dell’occupazione americana”.
Un Paese in cammino verso il “progresso”, o almeno verso la versione industrializzata di questo concetto: infatti, U.S.A. e URSS si contendevano le simpatie del governo di Kabul offrendo chi la costruzione di un’enorme diga, chi la fornitura di beni di largo consumo.
Ma non è tanto la geopolitica a richiamare l’attenzione di Ivory, quanto la storia del primo imperatore moghul, Babur, la cui raffinatezza non gli impedì, nei primi anni del 1500, di conquistare Delhi e di soffocare nel sangue le ricorrenti ribellioni che agitavano i regni del tempo.
A Cooler Climate diventa quindi un’elegante sinfonia, la cui partitura corre tra le straordinarie riprese in Super8 di Kabul negli anni sessanta e le miniature persiane che raccontano l’epopea di Babur, con la lettura fuori campo delle sue memorie, tra l’album dei ricordi sfogliato dallo stesso regista e il racconto sincero della sua vita sentimentale e sessuale, fino allo struggente ricordo del compagno Ismail Merchant, da Bombay, nato e morto prima di Ivory, suo partner di vita e di lavoro – i film del regista americano hanno infatti il marchio della Merchant Ivory Productions.
Meritatissimo Premio alla Carriera al Maestro James Ivory, quindi, con l’augurio che i cineasti di domani seguano le sue preziose orme.
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