Mio padre dice: “La vita è un incidente della natura. Un minuto prima, sei solo una possibilità e quello dopo…tu esisti”, come un albero che cresce su un lato della strada perché il vento soffiava in quella direzione.
Per questo dò un piccolo aiuto alle piante. Non si sa mai.
Giraffada, presentato al Toronto Film Festival nel 2013, narra la storia del veterinario Yacine (Saleh Bakri, “Salvo”) che si occupa, nonostante l’accidiosa indifferenza dei colleghi, degli animali del desolato zoo di Qalqilya, cittadina palestinese a ridosso della West Bank, mentre suo figlio Ziad (Ahmad Bayatra) nutre la coppia di giraffe dello zooverso le quali nutre un grande affetto. Quando il maschio della coppia muore in seguito ad un raid aereo israeliano lasciando la femmina da sola Ziad inizia uno sciopero della fame. Preoccupato per la salute del figlio Yacine è costretto a chiedere l’aiuto di un veterinario amico ed attua un folle piano per riportare il sorriso sul volto di Ziad…
Grazie ad una coraggiosa coproduzione Palestina-Italia-Francia-Germania, Rani Massalha (il suo corto Elvis of Nazareth ha vinto il Premio Speciale Unifrance al Festival di Cannes nel 2012) offre una storia basata parzialmente su fatti reali avvenuti nel 2002 giocando amabilmente tra la vita oltre il Muro di Separazione (acronica, rimasta in una zona temporale indefinibile, sempre uguale a se stessa e contemporaneamente avvolta da una malinconica entropia) contrapposta ad un Israele idilliaco ed i sentimenti che un padre nutre verso il figlio che lo portano ad una scelta assurda e toccante.
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Il regista (nato in Francia da padre palestinese e madre egiziana), qui al suo primo lungometraggio, rimarca con decisione la psicologia dei palestinesi, ingabbiati al pari degli animali dello zoo, e la violenza eccessiva dei soldati israeliani (che vengono rappresentati come beceri bulletti mossi dalla paura) ma assai più interessanti sono le pennellate con le quali crea i personaggi di contorno come il gaudente direttore dello zoo o il cinico e saggio venditore di noccioline (Mohammed Bakri, memorabile nella scena nella quale sfida i soldati israeliani) o la rabbia e la speranza disegnate sul Muro, presenza costante in tutto il film e sua anima.
Meno riuscito è il personaggio della giornalista filopalestinese Laura (Laure de Clermont), vago love interest di Yacine che nulla aggiunge o toglie alla trama. Ben sviluppato è il rapporto tra Yacine, che in qualche modo ha perso la fede, ed il figlio, che si difende dalla crudeltà del mondo attraverso preghiere e patti infantili con Dio che si trasformano in ira cieca quando i miracoli non si realizzano.
Un film toccante, impegnato ben oltre l’aspetto superficiale di favola moderna che pecca unicamente di un eccessivo manicheismo.
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