Papa Francesco verso il Concilio. Non verso il Vaticano III, desiderato da molti, specialmente nell’ala progressista. Piuttosto, verso il Concilio Vaticano II. Perché le scelte di Papa Francesco sembrano sottolineare che lui vada proprio cercando lo spirito del Concilio. Quello spirito che 50 anni fa aveva messo la Chiesa in una scia di entusiasmo e rinnovamento. E che si è perso nel lungo dibattito del dopo-Concilio, diviso tra chi sosteneva che questo fosse stato una rottura, e chi invece sottolineava che era solo continuità nella tradizione.
Il problema è il Concilio, dicevano quelli più tradizionalisti, quelli che vedevano nelle derive del post-Concilio l’inizio della rovina della Chiesa stessa, con una serie di gradazioni che andavano dagli ultratradizionalisti lefevbriani ai più moderati cercatori di verità. Il problema è il Concilio, dicevano quelli più progressisti, che avevano vissuto l’età del Concilio come un’età in cui cambiare tutto, senza comprendere che in fondo la tradizione della Chiesa, la verità che propone, è un punto fermo che nessun Concilio può scalfire.
E Papa Francesco, il primo Papa che non ha partecipato al Concilio, che lo ha vissuto da giovane prete in Argentina, sembra voler riportare tutto a quello spirito, sperando di stimolare un dibattito che dovrebbe riportare la Chiesa ad annunciare il Vangelo nelle periferie esistenziali, e ad essere presente nel mondo con entusiasmo, senza troppi moralismi, con semplicità.
La scelta sembra evidente scorrendo le 26 persone di nomina pontificia che parteciperanno al Sinodo dei vescovi. C’è il cardinal Godfred Daneels, ultraottantenne, un protagonista del Concilio, rappresentante dell’ala più progressista. C’è il cardinal Walter Kasper, che ha già delineato le sue idee al Concistoro sulla famiglia convocato da Papa Francesco lo scorso febbraio. Ma c’è anche il Cardinal Carlo Caffarra di Bologna, che alle idee di Kasper si èè opposto con forza. C’è il cardinal Sebastian Aguilar, che Papa Francesco ha voluto premiare con una porpora onoraria, ma che di certo non è progressista. E via, scorrendo i nomi, si nota una alternanza tra anziani prelati, persone più giovani nelle simpatie del Papa, altri personaggi di corrente opposta. Tutti chiamati a concorrere in una discussione aperta, per un sinodo in cui, ormai è scontato, ci sarà una vera e propria battaglia.
Una battaglia che ha tutte le premesse per ricalcare quella che era avvenuta nel Concilio. Benedetto XVI, nel suo ultimo incontro con il clero di Roma, parlando a braccio aveva parlato del Concilio dei media e del Concilio reale. Del Concilio, cioè, raccontato dai media, secondo una agenda ben precisa, e di quello che realmente avveniva nei dibattiti conciliari.
È stato proprio per evitare il Concilio dei media che l’organizzazione degli incontri di livello è diventata sempre più trasparente. Il sinodo dei vescovi si era dato una struttura di comunicazione impeccabile. I discorsi dei vescovi, preparati in anticipo, venivano diffusi al termine della giornata e tradotti in cinque lingue. Poi, ovvio, c’era il dibattito sinodale, e quello era ovviamente lasciato alla dimensione privata, per favorire la spontaneità e la discussione. Ma il clima veniva comunque raccontato in briefing in quattro lingue diverse ai giornalisti.
La decisione del Papa di rendere tutto più informale un po’ riporta indietro proprio ai tempi del Concilio, ai dibattiti studiati ma non diffusi, alle pressioni su questa o quell’altra tesi che alcuni dei padri conciliari passavano ai giornalisti perché le pubblicassero.
È così che è nato il Concilio dei media. Oggi possiamo avere un sinodo dei media e un sinodo reale. Dalla parte reale, c’è chi ha già cominciato a mediare le posizioni. Un libro, “Remaining in truth”, contrasta in maniera decisa l’impostazione che Kasper ha dato alla questione della famiglia durante il Concistoro, specialmente quella scelta di “misericordia” che dovrebbe portare a una maggiore possibilità per i divorziati risposati di avere accesso alla comunione.
Nel libro ci sono i contributi di cinque cardinali, ed è molto da considerare quello del Cardinal Gehrard Ludwig Mueller, prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede, che si è speso per la causa anche in un libro intervista.
Fatti che testimoniano che di certo, al sinodo di sarà battaglia, e quello che succederà è tutto da vedere. Il sinodo però sarà il primo reale banco di prova di Papa Francesco. Punta a un vero cambiamento? O il Papa sta solo cercando di tornare allo spirito del Concilio nella speranza di trovare di nuovo quella profezia che rinnovò la Chiesa?
La profezia, però, arriva quando i contenuti sono molto ben definiti, quando c’è un retro pensiero strutturato. Il Concilio Vaticano II fu il frutto di un fermento teologico che fioriva da decenni. In Francia e Belgio c’erano state le esperienze dei preti operai. Ovunque i cattolici cercavano un posto nel mondo sociale, anche nell’impegno politico. Quelle che erano terre di missione (come gli Stati Uniti) diventavano avamposti cattolici strutturati, che ponevano problemi nuovi tutti da scoprire.
Eppure, c’era voluto un Pio X che con la sua lotta al modernismo aveva difeso la Dottrina; un Benedetto XV che aveva spinto l’attività missionaria della Chiesa verso l’attività diplomatica; un Pio XI che aveva dovuto vedersela con i totalitarismi, e che difese “il pezzo di terra” della sovranità della Santa Sede, consapevole che avrebbe aiutato a fare la missione; e un Pio XII che fosse in grado di mettere in ordine le cose e di preparare l’arrivo di un Giovanni XXIII che aveva definitivamente buttato giù il muro. Poi, ci aveva pensato Paolo VI a rimettere le cose in ordine, a puntellare il sistema con finezza intellettuale e capacità di bilanciare le opposte fazioni.
Paolo VI fermò la deriva ri-affidandosi al Credo nell’Anno della Fede, e promulgando l’Humanae Vitae in un modo che non rispecchiava di certo il parere di chi lo aveva consigliato, stabilendo così che la collegialità episcopale poteva andare sopra tutto, ma non sopra la dottrina. Le aspettative che si erano create riguardo quell’enciclica portarono però Paolo VI ad affrontare una delle maggiori difficoltà del suo pontificato.
E Papa Francesco? Lui una intervista ha definito Paolo VI come un eroe proprio per quanto ha fatto nell’Humanae Vitae. Ora si vedrà se avrà lo stesso coraggio del suo idolo. Se, dopo un sinodo in cui ci sarà di certo battaglia e dopo il sinodo seguente in cui sarà necessario prendere decisioni, rispecchierà le attese del sinodo dei media o se alla fine ristabilirà la dottrina.
In molti temono di vedere le loro aspettative disilluse. Come il gesuita Thomas Reese, che ha commentato acidamente che le nomine del sinodo sono “deludenti”, sottolineando come il Papa abbia nominato 25 esponenti della Curia, che invece sarebbero intesi solo come spettatori in un sinodo straordinario, e non certo come “policy makers”, e abbia del tutto trascurato i laici.
Reese nella sua analisi va oltre, e sottolinea che le scelte del Papa sul sinodo sono un duro colpo anche per la riforma della Curia. Se nel sinodo non vengono valorizzati i laici, ma i chierici – è il ragionamento – non si vede perché questo debba succedere con la riforma della Curia.
È un ragionamento da mettere sul tavolo soprattutto oggi, dopo che il Consiglio dei Cardinali si è riiunito per il suo quinto incontro. La riforma della Pastor Bonus è ancora lontana. Le idee sono molte, e finora il Consiglio ha partorito una riforma dell’Economia, e molti organi che ancora mancano di uno statuto.
Ma anche l’istituzionalità per Papa Francesco va discussa. Per superare i mali della Chiesa, questa deve essere portata a uno stato di concilio permanente. Le strutture devono essere messe in discussione. Persino gli uffici, tanto che il responsabile del costituendo ufficio dei “Delicta Graviora” (i delitti più gravi) nella Congregazione per la Dottrina della Fede potrà risiedere a Buenos Aires, e non in Curia.
Tutto da vedere se questo dibattito, a volte improvvisato perché il Papa lo vuole caratterizzato da spontaneità, riuscirà in qualche modo a tramutarsi in uno sforzo istituzionale che porti davvero al rinnovamento della Chiesa. Se così non fosse, Papa Francesco potrebbe aver azzeccato con profezia tutte quante le sue scelte dall’inizio del Pontificato. Ma proprio queste scelte sarebbero vanificate dal fatto che non sono state rese istituzionali. Con il rischio che dopo Papa Francesco si dovrà ripartire da zero.
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