“Penso che sia una guerra anche l’affondamento di un gommone”
Gianni Amelio
Una mano si alza sotto i cadaveri di soldati ammucchiati uno sull’altro.
Grazie a quella mano che lancia un segnale di soccorso, uno di loro si salverà la vita ma questa scena – cruenta e spietata – sarà tutto quello che vedrete sulla Grande Guerra in Campo di battaglia di Gianni Amelio, in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, al cinema dal 5 Settembre con 01 Distribution.
Non vedrete campi di battaglia, trincee, baionette, sparatorie e massacri.
Il cuore della storia che il regista vuole raccontarci è tutt’altro. Riguarda l’empatia con il dolore e il coraggio, l’inutilità della guerra e il fanatismo. E, soprattutto, la voglia di vivere, di ritornare a casa, di fuggire a un incubo che porta solo alla morte.
La Prima Guerra Mondiale è sul finire e tutto il film si svolge in un ospedale militare in Trentino, dove due ufficiali medici, Stefano Zorzi, interpretato da Alessandro Borghi, e Giulio Farradi (Gabriel Montesi) si prendono cura di quel che resta dei militari sopravvissuti allo scontro bellico tra i più feroci della storia d’Italia: ciechi, mutilati, la mente persa nell’orrore vissuto.
I due medici sono amici d’infanzia, ma molto diversi. Giulio viene da una famiglia dell’alta borghesia, crede nel sacrificio in battaglia e nell’amor patrio e su di lui il padre ripone alte aspettative in ambito politico.
Stefano, invece, avrebbe voluto continuare a studiare biologia e a coltivare la sua passione di ricercatore; lui cerca di salvare i soldati mentre Giulio combatte l’autolesionismo che dilaga tra i malati.
Molti di loro, infatti, si autoinfliggono ferite anche terribili pur di non ritornare in prima linea.
In migliaia verranno fucilati per questo atto, giudicato codardo ed antipatriottico; Giulio li giudica e li condanna, ne è addirittura ossessionato. Stefano, al contrario, li aiuta ad amplificare la malattia, persino a peggiorare le proprie condizioni di salute pur di salvarli da un altro, ennesimo, combattimento mortale.
Amelio, regista e sceneggiatore, focalizza la sua opera – tratta da La sfida di Carlo Patriarca – sul dramma personale dei due protagonisti; sulla loro differenza di empatia, coscienza, valori.
A complicare ulteriormente i rapporti tra i due dottori arriverà l’infermiera Anna (Federica Rossellini), di cui entrambi si innamorano.
Ancora più feroce e implacabile della Guerra, si abbatterà poi su tutti la terribile quanto mortale pandemia del 1918-20, La spagnola che mieterà ancora più vittime e di cui nessuno è a conoscenza perché i giornali non ne parlano, tranne quelli della Spagna neutrale.
Gianni Amelio, già giurato qui alla Mostra del Cinema di Venezia nel 1992 e vincitore del Leone d’Oro nel 1998 con Così ridevano, ci ha donato, quasi ottantenne, un nuovo capolavoro.
Toccante ed imperdibile.
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