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È quando gli Americani fanno film così che sei pronto a perdonare loro tutto. È quando fanno film come questo che saresti pronto a farti vendere qualunque balla ideologica mascherata dietro le righe. È quando scopri un film così brillante, divertente, cinico, beffardo, ben recitato e splendidamente orchestrato che riesci per qualche minuto anche a credere alla storiella degli Yankees che finanziano con un fiume di milioni di dollari la guerra segreta in Afghanistan durante gli anni Ottanta, al solo scopo di proteggere le povere popolazioni e cacciare via gli odiosi comunisti, brutti e cattivi.

Ebbene, La guerra di Charlie Wilson riesce in tutto questo. Perché è un film sceneggiato in una maniera così perfetta e arricchito da dialoghi tanto brillanti come non se ne vedevano da anni, che va goduto a prescindere: a prescindere dall’ideologia criptica, dalla patina da blockbuster della confezione, dall’atteggiamento furbetto e ingannatore del suo regista Mike Nichols (guarda caso, quello dell’altrettanto furbetto Closer!).

Ma di fronte ad un intreccio così ordinato e godibile, ad un ritmo così perfetto e soprattutto alla raffica di battute politiche più ciniche e divertenti che si siano sentite da anni a questa parte, non si può resistere. Eppure la questione dell’intrigo di politica estera da guerra fredda non è complicato, ma non è nemmeno dei più agili. Ma lo sceneggiatore Aaron Sorkin sa renderlo un giochetto: tutto comincia negli anni Ottanta, all’indomani dell’invasione dell’Afghanistan da parte dell’esercito russo. Il deputato texano Charlie Wilson (Tom Hanks) decide di farsi alfiere dell’interventismo USA. Un interventismo segreto, perché in tempi di guerra fredda un afflusso troppo evidente di denaro attirerebbe l’attenzione, come viene ricordato più volte. Si parla quindi di fiumi di milioni in finanziamenti segreti, che il politico riesce a far votare con l’aiuto diplomatico di un’avvenente donna di mondo (Julia Roberts), che manipola membri del governo, e di un uomo della CIA (Philip Seymour Hoffman), che ha agganci tra i governi dell’area mediorientale.

Proprio per la brillantezza delle prove attoriali passa gran parte del successo del film: dapprima si scopre un Tom Hanks sempre monoespressivo, ma capace come non mai di piegare in due dalle risate, a suon di battute riuscitissime, di cui il bravo attore sa restituire sorprendentemente il cinismo. Poi si passa a rinverdire i fasti mai dimenticati di un’attrice come la Roberts, qui forse ingiustamente relegata ad un ruolo non marginale, ma che la lascia in scena troppo poco tempo. E infine si giunge alla conferma di quello che è il talento più genuino dell’Hollywood degli ultimi anni, Seymour Hoffmann, semplicemente perfetto con quegli occhialetti a specchio e la solita mimica impertinente: non ha uno sguardo per un’ora e mezza (per colpa proprio degli occhiali), ma sa regalarci un’espressività da fare invidia a orde di attorucoli nostrani.

In definitiva, una pellicola godibile e divertente come pochissime, furba sì, ma senza eccedere (d’altronde…è Hollywood, my darling! Cosa pretendere di più?!), tutta da gustare dall’inizio alla fine. Adatta sia a chi cerca l’intrigo politico e la rivisitazione della Storia, sia a chi vuole farsi due risate sui meccanismi del sistema politico americano. Da non perdere.

 

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