Ridley Scott è regista dalla carriera così discontinua, così lesto nell’alternare mezzi capolavori a film di cassetta, che nulla si può oramai prevedere con certezza riguardo le sue imminenti uscite. Il che dovrebbe acuire il senso di attesa, ma finisce per far entrare in sala prevenuti i più sospettosi. Nessuna verità dà ragione per certi versi proprio a questi ultimi, laddove rappresenta il classico prodotto hollywoodiano perfetto nella forma e nella confezione, con un cast di richiamo, ma voglioso di dire qualcosa di scomodo, di controcorrente: peccato che proprio quest’ultimo ambizioso obiettivo venga tanto cercato quando sempre mancato per un pelo per due ore di pellicola.
Non a caso c’è DiCaprio, ma il suo essere così “perfetto”, così americano stona decisamente con la location e l’evoluzione del personaggio (Blood Diamond docet); c’è Russell Crowe, ma quando non fa il gladiatore, per lui si potrebbe parafrasare ciò che fu detto di Eastwood: ha due espressioni, con gli occhialini o senza. In sostanza c’è il film ma se ne perde la morale, il contenuto, a vantaggio esclusivo della forma.
Nemmeno la sceneggiatura brilla per chiarezza: tra un nome arabo e l’altro, tra un’operazione segreta e un sabotaggio, tra una tortura e un attentato si perde facilmente il filo e si termina la visione avendo compreso il senso generale, ma con il desiderio (la necessità) di una seconda visione chiarificatrice di tanti passaggi. Ed è un altro difetto che non t’aspetti, visto che ad adattare il romanzo del giornalista David Ignatius è l’autore dello script di The Departed, William Monahan.
La vicenda vede per protagonisti due agenti della CIA: uno (DiCaprio) di stanza in Medio Oriente, da dove comanda le operazioni in prima linea, l’altro (Crowe) fa il gran capo a Langley, ma le sue operazioni finiscono sistematicamente per sabotare – volontariamente o meno – quelle del collega. Entrambi sulle tracce di un grosso terrorista, per il primo la missione sarà quella di entrare in contatto con i servizi segreti giordani e di organizzare falsi attentati, rischiando in prima persona.
Insomma, c’è la guerra dell’esercito regolare e c’è quella della CIA: quella vera, quella che si combatte tra spie e satelliti, quella sporca ma che porta ai risultati. E questo il film lo spiega bene. Se la seconda parte della storia fa un bel salto di qualità nel mostrare qual è il vero stile della operazioni della CIA, quanto sporche possano essere, dall’altro lato non si sentiva davvero l’esigenza di inserire in un contesto così serio e politicizzato la classica, scontata storiella sentimentale, senza la quale ad Hollywood non si pronuncia nemmeno “ciak”.
Ci casca pure Scott, ma – come detto in apertura – è il classico scivolone che non meraviglia. Peccato perché il film merita la visione ed è consigliabile a tutti, ma da un prodotto tutto sommato così ricercato e così ben confezionato ci si poteva e doveva aspettare di più.
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