Si fa un gran parlar male di questo Max Payne, tentativo di trasporre al cinema storia e personaggi di un popolare videogioco d’azione. Evidentemente chiunque ne abbia scritto deve essere passato precedentemente per l’esperienza videoludica, il che permette di notare il distacco del film dalla vicenda originaria. Chi prenderà invece l’opera per quello che è (ossia semplicemente un film, senza conoscerne l’origine), la troverà tutto sommato esteticamente ben fatta e relativamente accattivante: pur sempre un blockbuster, ma non pessimo.
Ma è giusto d’altro canto avvicinarsi al film in questione con questo approccio? Forse non proprio, visto che il mercato degli ex-videogiocatori è proprio quello cui dovrebbe rivolgersi l’opera diretta da John Moore (The Omen, Behind Enemy Lines) e visto che tralasciare l’esistenza di una fonte d’ispirazione sarebbe comunque un errore. Tuttavia è davvero difficile non dare a Moore quel che è di Moore: la fotografia di Max Payne è eccellente, le scene d’azione puntano su inquadrature che rimandano allo stile fumettistico alla Sin City, la storia non sarà un esempio di massima originalità, ma riesce comunque bilanciare saggiamente l’elemento d’azione con quello thriller (a beneficio del secondo, con effetti apprezzabili dallo spettatore estraneo all’esperienza videoludica).
Tale vicenda vede il detective Max Payne (Mark Wahlberg) alla ricerca degli assassini della moglie: una ricerca che dura da tre anni, da quando il caso fu archiviato come irrisolto. Improvvisamente nuove morti misteriose restituiscono al detective qualche pista inedita. Il segugio si metterà a seguirle, “sfoggiando” la sua nota mancanza di valori e la sua irruenza: particolari che non piacciono affatto ai suoi colleghi…
Insomma, c’è Mark Wahlberg che fa il poliziotto con la faccia crucciata (per l’ennesima volta, sì!) e questo è tranquillamente annoverabile tra i difetti del film, nonostante lui ce la metta tutta per provare almeno a muovere una ruga ogni tanto. Difficile che la presenza della neo-Bond Girl Olga Kurylenko – qui di una bellezza assolutamente devastante, da valere da sola il prezzo del biglietto – possa bastare ad equilibrare tale neo, non foss’altro perché la sua presenza è limitata a poche scene. Ci si aggiunga un finale tutto inevitabilmente dedito all’azione ed ecco che un piccolo quadro dei difetti del film è servito.
Ma se non avete alcun rapporto col videogioco di riferimento e desiderate passare un’ora e mezza di divertimento di fronte ad un prodotto commerciale ma esteticamente accattivante, dimenticate i difettucci e recatevi pure in sala. L’analisi comparativa lasciatela al ragazzo seduto accanto a voi, col joystick ancora in mano: probabilmente lui non potrà godersi il film alla stessa maniera.
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