Politicamente scorrettissima, questa commedia francese di Benoit Delépine e Gustave Kervern – due autori-registi davvero fuori da tutti gli schemi – si tinge di un nero grotesque come poche altre hanno fatto negli ultimi anni. Premio per la Miglior Sceneggiatura al Festival di San Sebastian 2008 e Premio speciale della giuria per l’Originalità al Sundance Film Festival 2009, Louise-Michel racconta la chiusura improvvisa di una fabbrica tessile nella Picardia francese: la surreale assemblea indetta fra le operaie rimaste “a spasso” delibera d’investire i quattro soldi offerti come liquidazione per fare fuori l’odiato padrone.
L’idea è proprio di Louise, una strana donna, metà uomo, metà animale, semplicemente rabbiosa, in fondo una povera disgraziata costretta ad una vita di stenti, carcerata per un errore di gioventù, costretta a travestirsi per trovare lavoro, infine disoccupata. Sarà lei a trovare per realizzare il piano un improbabile sicario, Michel, inetto ed ingegnoso al tempo stesso, e ad iniziare con lui un viaggio alla ricerca di un “padrone-fantasma” su cui vendicarsi, passando (letteralmente) su corpi e cadaveri di altri disperati incontrati nel percorso.
Storia comicamente tragica di tante persone, uomini e donne, che nei paesi della provincia francese economicamente disastrati vivono in una realtà sociale alle soglie della povertà. “Abbiamo preso spunto da una storia vera – afferma Kervern, uno dei registi – da un giorno all’altro un padrone è sparito con tutta la fabbrica: l’idea di fondo è che oggi non si sa nemmeno chi è questo padrone, prima si andava al castello e si parlava, si discuteva, oggi esiste una sorta di capitalismo clandestino, quello dei paradisi fiscali, dove la gente in alto si nasconde ed alimenta la crisi dell’economia, mentre tutti sono smarriti. In questo film tutti i personaggi sono perduti: nessuno capisce cosa accade, proprio come noi.”
Il titolo offre ai più attenti una doppia chiave di lettura: Louise Michel infatti è il nome di una rivoluzionaria vicina alla Comune di Parigi, una donna eccezionalmente libera per i suoi tempi, che portava i pantaloni e giocava con un’idea antesignana di ambiguità sessuale. Stessa ambiguità è quella presente nei due protagonisti del film che, per scelta o per costrizione, e comunque per motivi legati al contesto sociale, si trovano a vestire panni non proprio tradizionali, come del resto dimostra, senza dubbio alcuno, l’insospettabile e decisamente anticonvenzionale epilogo.
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