Orphan

Co-prodotto da Leonardo DiCaprio, che aveva già affiancato la qui protagonista Vera Farmiga nell’invidiabile capolavoro di Martin Scorsese The Departed, Orphan è un esempio quasi perfetto, forse persino un po’ atipico, di stile noir e, a tratti, grottesco. Uno stile che, applicato alla cosiddetta favola horror, gioca sapientemente sulla bellezza di una fotografia limpida e lucente, utilizzando il candore dei paesaggi innevati (propri degli inverni americani) insieme ad un’abile serie di primi piani sui volti freschi, e rosei di questi bambini-adolescenti che, grazie a film come Two Sisters, hanno ormai preso il posto dei classici predecessori, rendendo inquieti i sogni dello spettatore.

Giudicata tutt’altro che pro-adozione (molte, in effetti, le critiche in proposito), la pellicola pone rimedio ad una trama scarna e poco attualizzabile, trattando alcune delle più moderne tematiche come, ad esempio, le numerose divergenze d’opinione che generano insormontabili discussioni tra neo-sposati o genitori in lizza per un prossimo divorzio: in questo caso, si tratta di una moglie affetta da grave alcolismo e di un marito incapace di far fronte alla situazione senza resistere alle tentazioni esterne. Viene, quindi, trattata tutta l’odierna fragilità dei rapporti interpersonali che fa ormai parte del nostro quotidiano.

Siamo in un orfanotrofio di sole bambine  e vediamo Esther, orfana russa di nove anni, nutrire una profonda passione per il disegno, che,  insieme ad una grandissima padronanza della lingua americana e ad uno spiccato senso del portamento, le permette di far invaghire di lei la giovane coppia Kate (Vera Farmiga, The Departed, Il bambino con il pigiama a righe) – John (Peter Sarsgaard, Lezioni d’amore). I due hanno appena perso la terza figlia, Jessica, nata morta a causa di una gravidanza difficile e, proprio per tale motivo, sono pronti ad adottare un’altra bambina, così da restituir lei tutto l’amore inutilmente investito nella precedente gestazione.

A rovinare i piani della famiglia, però, subentrano le sempre più insolite abitudini di Esther che chiede a Kate di darle lezioni di pianoforte quando in realtà sa già suonare alla perfezione i brani di Tchaikovsky o che strilla e pesta i piedi a terra nel caso si tenti di levarle i nastrini neri dal collo e dai polsi. Senza considerare l’incendio, casualmente doloso che, dicono, abbia ucciso i suoi precedenti genitori adottivi, rendendola nuovamente orfana.

Diretto dal regista spagnolo Jaume Collet-Serra (La maschera di cera), il film delude nel finale: interminabilmente lungo, ripetitivo e, pur se solo apparentemente, ricalcato sul modello di altri horror movie come The Ring o simili, la cui sola nota positiva sembra essere la bravura dell’emergente, giovanissima e graziosissima Isabelle Fuhrman, ormai nota in America per la sua espressione ambiguamente sinistra, “alla Esther”.

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