deandre canta deandreNon è un tributo, dice un emozionato Cristiano De André: questo tour vuole essere la testimonianza di un figlio nei confronti dell’immenso lascito artistico del padre, vestendone le meravigliose canzoni con un vestito nuovo. In effetti, va dato atto al rampollo di Fabrizio De André di aver finalmente trovato il coraggio per affrontare l’opera paterna, con il tour (premio MEI al “Miglior tour 2009”) conclusosi domenica 13 dicembre nella imponente Sala Santa Cecilia dell’Auditorium Parco della Musica.

Tuttavia, il valore del concerto sta soprattutto nel riconoscimento del debito che tutti noi abbiamo verso un musicista di sconvolgente bravura e commovente intensità, sempre in direzione “ostinata e contraria”: Faber, scomparso troppo presto (11 gennaio 1999) per un maledetto tumore, ha scritto, musicato e cantato cose troppo belle, profonde, vere, emozionanti per poter essere totalmente reinterpretate, men che meno migliorate, da chiunque altro, fosse pure suo figlio.

Qualche brano è stato riletto con originalità da Cristiano, da «La Canzone di Marinella» a «Oceano» (restituita nella sua abbagliante nudità, con la sola chitarra acustica), da «Se ti tagliassero a pezzetti» a «Quello che non ho». Ma più spesso i brani di Fabrizio si sono imposti con la loro forza di sempre – squassante come un Ricky Portera d’antan l’assolo di chitarra elettrica su «Amico fragile», intatte le canzoni “etniche” («Creuza de mä», «Megu megùn», «Â çímma») e quelle anarco-gitane dell’ultimo album («Smisurata preghiera», «Ho visto Nina volare»).

Ecco poi riaffiorare gli arrangiamenti della Premiata Forneria Marconi, ormai divenuti un classico dopo gli storici concerti congiunti del 1979-80: brani come «Un giudice» o «Il pescatore» sono scolpiti nella memoria nella versione prog-rock di Franz Di Cioccio e compagni.

Il tutto condito da alcuni aneddoti raccontati da Cristiano con la sua voce calda e avvolgente, dello stesso timbro di quella del padre, la cui figura è resa più umana dall’episodio del peperone che non voleva crescere (sembra che Faber, con ligure testardaggine, ne abbia piantati 700 in un terreno assolutamente sfavorevole all’ortaggio) o dalla circostanza in cui è nata la canzone «Cose che dimentico», di cui Cristiano aveva scritto la musica e Fabrizio le parole, dedicandole ad un amico morto di AIDS: tanta era la passione che ci aveva messo da svegliare il figlio alle 5 di mattina per fargli ascoltare il risultato…

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