Chi dice che la felicità non esiste, non va al cinema. Su commissione poi, si può creare anche un lieto fine. O quasi. In verità, è la paura o l’impotenza alla felicità che paralizza. La distinzione labile fra finzione e realtà è la durata stessa degli attori di un film. Un narratore (Fabio De Luigi) compone in diretta la trama della vita dei suoi personaggi. Interagisce, li abbandona, si ricrede.
La storia si concentra su due famiglie, l’incontro fra i quattro genitori (Diego Abatantuono, Fabrizio Bentivoglio, Margherita Buy e Carla Signoris) con il pretestuoso annuncio di matrimonio dei figli adolescenti. Al centro del microcosmo si inserisce Il narratore stesso. Ci sono parecchi motivi per andare a vedere il film. In primis, per chi non frequenta il teatro potrebbe essere un ottimo spunto per iniziare. Tratto dall’opera prima di Alessandro Genovesi (che con Gabriele Salvatores ha scritto la sceneggiatura), l’omonimo film , l’ultima fatica del regista, si attiene fedelmente al testo teatrale raccontando la vita come se fosse un film.
O dirige una commedia dietro suggerimento degli stessi personaggi che, una volta creati dall’autore, rivendicano il diritto di esistere. Di Pirandelliana memoria ovviamente. Ma non ne fa mistero, anzi precede i critici (o le critiche?) inserendo nel copione una auto-citazione. Un altro motivo è la città più grigia e cinica d’Italia, Milano, avvolta in un’esplosione di colori abbinati alle scene. Un’esagerazione volutamente contrastante che fa apprezzare la città, un caso raro cinematograficamente, quasi a dire “epperò, chi l’avrebbe detto!”.
Le inquadrature, allargate,dilatate e poi ristrette su più piani sono in perfetto equilibrio cromatico e in piacevole stile newyorkese anche la serie finale in bianco e nero (come i tasti del pianoforte) sulle note del notturno di Chopin, suonato dall’amata protagonista del narratore (Valeria Bilello).
Bravi e seriamente divertiti tutti gli attori, perfettamente in sintonia (Diego Abatantuono e Fabrizio Bentivoglio si ritrovano dopo Turnè, il quarto film di Salvatores), battute fluide e veloci, divertenti e sottilmente amare. Un cast nel cast. E se ciò può far bene all’agonizzante mondo teatrale, ben vengano gli adattamenti cinematografici.
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