Il tema dei bambini maltrattati, abusati o anche ‘semplicemente’ trascurati non è certo nuovo, eppure una scossa di adrenalina corre lungo le schiene degli spettatori mentre guardano, sentono e ascoltano Polisse, un’esperienza sensoriale oltre che un film, che impone una partecipazione dei cinque sensi sia per la velocità degli eventi narrati, sia per l’intensità dei personaggi.
Premio della Giuria al Festival di Cannes 2011, il film della giovane ed attraente regista e attrice franco-algerina Maïwenn Le Besco, racconta, con ritmo concitato e in presa diretta, le vicende di un gruppo di agenti di Polizia della Sezione Protezione Minori: violenze, pedofilia, maltrattamenti, incesti, case-famiglia ed ospedali, ragazze-madri, rapimenti e adolescenti difficili. Tutto questo lascia tracce indelebili sulla psiche, sentimenti e vita privata degli stessi agenti e, per ogni bambino salvato, sembra dire il film, si paga un prezzo.
Il complesso lavoro di preparazione svolto da Maïwenn con i suoi attori, sottoposti ad un lungo training con un poliziotto della Sezione Minori ha prodotto ottimi frutti: il film è autentico, crudo, brillante, usa un gergo pesante ma assolutamente credibile: sembra di essere lì, anche noi con il fiato sospeso, a cercare di salvare l’ennesimo ragazzino in difficoltà, ad interrogare l’ennesimo padre sospettato di violenza. Contemporaneamente scorrono le vite dei poliziotti, fra nuovi amori, separazioni, depressioni, amicizie, litigi e momenti di allegria.
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Qualcuno ha bollato l’opera di propaganda; certamente il punto di vista scelto è quello dei tutori della legge, ma ciò passa in secondo piano nel forte e credibile affresco in movimento che Maïwenn fa di un aspetto inquietante della nostra società – il rapporto tra adulti e minori, tanto vezzeggiati a parole quanto bistrattati nei fatti.
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