“Credevo che questo fosse il secolo del sesso, invece è quello della cucina…tutti a spadellare a casa e in televisione. Che noia”.

Paolo Poli

Potremmo aggiungere anche il cinema all’elenco, dopo aver visto questa commedia di Daniel Cohen, dove un giovane gourmand, alla ricerca di un’occupazione stabile e dopo una serie di fallimentari tentativi come capo chef in vari ristoranti incontra, più o meno casualmente, il cuoco tristellato, alfiere della cucina elaborata ma legato a valori e tradizioni francesi, che il manager cattivo della catena dei suoi ristoranti vorrebbe cacciare per sostituirlo con un pallone gonfiato di origini inglesi, mentore della nuova cucina chimica a base di provette ed alambicchi.

Nella locandina di Chef c’è scritto “riderete di gusto”. Il gusto c’è, le risate un po’ meno. E’ una commedia “gastronomica” gradevole come solo i francesi sanno fare e basterebbe soltanto l’espressività di Jean Reno (qui nei panni del famoso chef stellato in crisi di ispirazione e oppresso da un rampante imprenditore che minaccia di togliergli il ristorante) a far salire l’incasso ai botteghini.

Michaël Youn è il coprotagonista, Jacky, il giovane chef con la moglie incinta che si barcamena in futili lavoretti rincorrendo il suo sogno, finché, per puro caso, non incontra il famoso Lagarde (Jean Reno) che gli offre l’opportunità di lavorare al suo fianco, dapprima in penombra ed infine trionfando.

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La trama ricorda “Ratatouille” e gli ingredienti sono semplici e troppo ricorrenti, soprattutto in un periodo come quello attuale dove l’arte culinaria è in pole position, fra programmi televisivi, reality show, personaggi famosi che dispensano il loro sapere fra padelle e fuochi sempre accesi.

La commedia non decolla, si sorride e se nella prima parte è ricca di stimoli, fra ricette e costruzione dei personaggi, nella seconda si perde in melensi lieto fine e luoghi troppo comuni. Come un soufflè che si affloscia. Peccato perché il cast ce la mette tutta ma la regia avrebbe potuto o dovuto dare un tocco più incisivo, magari autoironico e cattivello come nella simpatica gag sulla cucina molecolare, affondando il coltello sui disastrosi effetti e la perdita di personalità e tradizioni. Belle le immagini di Parigi, dei sofisticati piatti e della vivida attività di una vera cucina di ristorante.

In un momento come quello attuale, dove i canali televisivi e le librerie sono invasi da programmi e testi sul cibo, il tentativo del regista francese appare fuori tempo massimo, almeno nella forma di commedia zuccherosa, e non bastano la verve degli interpreti, alcune battute spiritose (probabilmente qualcosa si è perso nel doppiaggio)  e una certa cura nella confezione per andare oltre la sufficienza nel giudizio finale. Anche la satira sulla cucina molecolare di derivazione spagnola è troppo farsesca per risultare pungente; l’ eccesso di buonismo condiziona l’intero film e al termine l’ appetito dello spettatore rimane invariato nonostante le belle presentazioni dei piatti per mano di chef professionisti.

Grazie a Salvatore Todaro per il prezioso contributo.  😉

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