Dopo aver visto Lo Hobbit: Un viaggio inaspettato, primo dei tre film tratti dal libro di Tolkien e diretto da Peter Jackson, ci è voluto un attimo perché ci riprendessimo. Da cosa? Dal fatto che al di là del giudizio sulla pellicola, eravamo consci di aver assistito a qualcosa di nuovo: tutto merito (o colpa) dei famigerati 48fps di cui avremo modo di parlare tra poco. Lo Hobbit racconta il viaggio di Bilbo Baggins (Martin Freeman), coinvolto in un’epica ricerca per reclamare il Regno Nanico di Erebor governato dal terribile drago Smaug. Avvicinato da Gandalf il Grigio (Ian McKellen), Bilbo si ritrova al seguito di una compagnia di tredici nani capeggiati dal leggendario guerriero Thorin Scudodiquercia (interpretato dal bravo e convincente Richard Armitage). Il viaggio li condurrà per terre piene di pericoli, abitate da Goblin, Orchi e implacabili Wargs. Il loro scopo è raggiungere l’Est e le aride Montagne Nebbiose, ma prima dovranno sottrarsi ai tunnel dei Goblin, dove Bilbo incontrerà una creatura che gli cambierà la vita per sempre… Gollum. Qui, da solo con l’inquietante creatura (splendidamente interpretata ancora una volta da Andy Serkis), sulle rive del lago sotterraneo, l’ignaro Bilbo Baggins non solo si scoprirà furbo e coraggioso, ma riuscirà a impossessarsi dell’anello legato a doppio filo alle sorti della Terra di Mezzo.
La visione di Lo Hobbit è davvero un viaggio inaspettato e lo è sotto più punti di vista. E’ inaspettato perché mentre i tre corposi volumi tolkieniani de Il Signore degli Anelli giustificavano i tre film, tutti di durata superiore alle due ore, Lo Hobbit è un libricino per bambini di tono ben più leggero e scanzonato e dalla trama esile che ha richiesto poco più di 300 pagine per essere raccontata. Nonostante questo, Jackson ha voluto ricavarne comunque tre film. E’ inaspettato perché, con queste premesse, è impossibile parlare di fedeltà al testo originale. La storia è stata allungata e arricchita con numerosi personaggi, ma quello che più colpisce è il sostanziale “stupro” del taglio narrativo e dello stile: il libretto di Tolkien è stato letteralmente plasmato dalle mani di Jackson e dei suoi per diventare a tutti gli effetti il prequel del Signore degli Anelli, la trilogia con cuicondivide le atmosfere e lo stile. E poi, ancora, la visione del film è un viaggio inaspettato perché di fatto il motivo principale per cui sarà ricordato saranno questi benedetti 48 fps. Facendo propria questa rivoluzione, Jackson ha preso un mondo che ci era divenuto ormai familiare, la Terra di Mezzo, e lo ha fatto divenire “altro”.
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L’essere il primo film a venir ripreso al doppio dei fotogrammi a cui siamo abituati (24 fps standard contro i 48 abbracciati da Jackson), però non ha apportato solo delle migliorie alla resa finale del prodotto, anzi. Evitando digressioni eccessivamente tecniche, diciamo che il risultato finale è una visione più nitida e fluida delle le immagini che vediamo sullo schermo, ma è anche vero che questo effetto conferisce loro una patinatura e un’innaturalità che infastidisce. In alcuni momenti sembra di guardare una fiction tedesca, o una puntata di Quark (avete presente quando Piero Angela ricorre a quella sorta di documentari per raccontare meglio un personaggio o un dato evento storico? Ecco, quella è l’impressione), o ancora, una partita di calcio su un canale HD. In sostanza è vero che le immagini sono di gran lunga più realistiche, ma questo eccessiva concretezza a cui, evidentemente non siamo abituati, anziché immergerci di più nel racconto, non fa altro che allontanarci da questo.
E allora addio alla sospensione dell’incredulità: ti aspetti sempre che da un momento all’altro in qualche parte dello schermo sbuchi Peter Jackson che grida “Motore. Azione!”. C’è anche da dire però, che il connubio 48 fps e 3D giova all’effetto stereoscopico, che risulta di gran lunga migliore rispetto a qualunque altra pellicola in 3D tradizionale, soprattutto nelle scene in cui la profondità di campo la fa da padrona. Non mancano nemmeno le scene particolarmente dinamiche in cui fa capolino l’effetto accelerato in stile slapstick, anche se bisogna sempre tener conto che Lo Hobbit, per certi versi, è un esperimento. Insomma, siamo lontani dalla perfezione, ma Peter Jackson ha fatto comunque bene a provare a regalare agli spettatori qualcosa di diverso, ora vedremo se questo nuovo modo di concepire il cinema prenderà piede o meno.
Al di là delle tecnologie (il film sarà comunque proiettato in vari formati: 48fps in 3D, 24fps in 3D e nel vecchio caro 24fps in 2D, tenendo in considerazione che nel nostro paese le sale che hanno la possibilità di proiettare il film in 3D sono circa 450), Lo Hobbit ci è piaciuto a metà. L’introduzione è davvero troppo lunga, ma dopo la prima ora e venti (eehhh?) Peter Jackson si riappropria di un certo dinamismo e regala al suo pubblico qualche perla (una su tutte è rappresentata dall’incontro, riuscitissimo, tra Bilbo e Gollum, che tra l’altro è uno dei pochi momenti in cui il film è fedele al romanzo). Insomma molta carne al fuoco per quello che è solo il primo capitolo di questa nuova trilogia. Aspettiamo gli altri due episodi, certi del fatto che Jackson riuscirà a stupirci acora una volta con qualcosa di “inaspettato”. Ma da quando, ieri sera, siamo usciti dalla sala dopo aver visto Lo Hobbit c’è una domanda che ci frulla in testa: e se la magia del cinema risiedesse proprio in quei 24 fotogrammi al secondo?
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