QUEL MALEDETTO TURNO SULL’AMBULANZA DEL TERRORE

È facile prevedere che negli USA stiano già pensando ad un remake targato Hollywood di questa eccellente co-produzione italo-belga. Il giovane regista piemontese Alessandro Tonda ha realizzato infatti un film ad altissimo tasso di adrenalina, oltre che a forte contenuto emotivo, nel quale racconta lo scontro in seno all’Europa tra Islam radicale e civiltà occidentale dalla specialissima prospettiva di due operatori sanitari chiamati ad intervenire in una scuola superiore di Bruxelles colpita da un terribile attentato terroristico.

Isabelle (Clotilde Hesme) e Adamo (Adamo Dionisi), s’intuisce, lavorano insieme sulle ambulanze già da un po’. Sono una piccola squadra esperta e ben amalgamata. L’inizio del film li coglie mentre fanno colazione dopo aver appena smontato da un lungo, faticoso turno di lavoro. All’improvviso, dalla centrale operativa giunge il drammatico annuncio dell’attentato: malgrado la stanchezza, risalgono sull’ambulanza e si recano sul posto.

Da qui, dopo aver raccolto uno dei feriti per prestargli le prime cure e portarlo al più vicino ospedale, inizia il loro viaggio all’inferno: una corsa apparentemente insensata per le vie della capitale belga, lungo tunnel e viadotti, zone residenziali e periferie, destinata a concludersi nel famigerato quartiere di Molenbeek.

Isabella e Adamo si trovano a fronteggiare Eden, nome da convertito Hicham, un ragazzo di sedici anni figlio di immigrati tunisini, convinto insieme ad un altro ragazzo, Abdel, a farsi martire della causa jihadista. La tensione è martellante, il ritmo dell’azione incalzante, sostenuto da una colonna sonora adeguata, come si conviene ad un action movie che però utilizza il genere per farsi dramma psicologico – la gestione della paura di morire, la frenetica ricerca di una via d’uscita – e pamphlet politico (il regista auspica l’avvio di “un processo di integrazione che scongiuri ogni estremismo).

Dalle note di regia, apprendiamo anche che il padre di Tonda è un volontario della Croce rossa: guida le ambulanze. Un fattore di immedesimazione non da poco nella scelta del soggetto e nella stesura della sceneggiatura (insieme a Davide Orsini), fino alla conduzione della regia e alla direzione dei bravissimi attori.

Tra questi, spicca l’italiano Adamo Dionisi, perfetto nella parte del paramedico di origine straniera ma – a differenza del suo giovanissimo antagonista – ben integrato nella società belga. Degno di nota che Dionisi sia un ex capotifoso del gruppo di ultras della Lazio “Irriducibili” (lo stesso del criminale Piscitelli, giustiziato mentre faceva jogging in un parco della capitale), che decide di intraprendere la carriera d’attore a quarant’anni suonati…

Lui e la Hesme, i protagonisti della vicenda, gli “eroi” dell’ambulanza, sono alieni da ogni atteggiamento assolutorio, in primis perché impegnati a restare in vita, ma anche perché devono guardare in faccia l’aspirante kamikaze per cercare di scoprirne le fragilità, i punti deboli – anche lui è umano, anche lui ha paura di morire. Emerge quindi come, al di là delle motivazioni storiche e politiche, l’integralismo metta “radici nel disagio sociale e… sempre più frequentemente trova terreno fertile tra gli adolescenti”.

Qui il piano sociopolitico si intreccia mirabilmente con quello personale e familiare, per cercare di capire come le suggestioni dei cattivi maestri jihadisti possano far breccia all’interno di famiglie ormai perfettamente a loro agio nelle grandi città europee.

Il valore di un’opera come The Shift è quello di guardare in faccia l’orrore, e di cercare di restare umani – come chiedeva Vittorio “Vik” Arrigoni, un eroe vero a bordo di ambulanze nella realtà della guerra.

The Shift

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