Per il suo esordio al lungometraggio, Dennis Lee riesce chissà come a coinvolgere un cast di vecchie guardie e giovani promettenti a dir poco sorprendente. Ma evidentemente deve aver esaurito gli sforzi durante la scelta degli attori, perché in fase di scrittura (anche la sceneggiatura è a sua firma) dimostra una certa superficialità, quasi avesse avuto fretta di terminare nella maniera più scontata e melensa una storia ben iniziata e con un ottimo potenziale di drammaticità.
L’esordio è infatti la parte più potente del film: chiusa in una macchina, una famiglia composta dal classico padre-padrone (Willem Dafoe), da una madre remissiva (Julia Roberts) e da un ragazzino tanto intelligente quanto segretamente ribelle (Cayden Boyd – nella versione adulta sarà Ryan Reynolds) svela le dinamiche e le tensioni sottese a quella convivenza forzata con una discussione emblematica. Cambio di scena, e ritroviamo tutti i protagonisti catapultati anni avanti, quando un incidente stradale toglie la vita alla madre e “costringe” il resto della famiglia ad un incontro in occasione del funerale, che sarà la miccia per nuovi scontri e per rimarginare ferite ancora scoperte.
Il soggetto non è nuovissimo ma, vista la forza dell’inizio, ci si aspetterebbe un bel dramma familiare, che invece si risolve in un happy end rappacificatore e fuori luogo: non convince e non coinvolge, lascia distaccati, affida troppi passaggi al non detto e persino all’irrisolto. Una serie di occasioni sprecate per sprigionare la violenza del conflitto familiare.
Soprattutto non convincono certe scelte registiche e di sceneggiatura: l’esordio è audace ma troppo contorto, la sequenza dell’incidente andrebbe rivista due volte per essere compresa e le connessioni tra i tanti personaggi (tra presente e passato) risultano inizialmente ardue. Poi tutta questa verve stilistica si perde in un fluire scontato, in cui le risoluzioni dei singoli drammi si fanno prevedibili
Dennis Lee insomma si affida troppo al suo cast che comunque offre prove notevoli: la Roberts ha pochissime scene a disposizione per dimostrarsi pronta alla sfida di un ruolo nuovo e affascinante; Dafoe è uno splendido padre-padrone perfettamente calato nella parte; il personaggio del figlio è forse interpretato meglio dal giovanissimo e promettente Boyd che da un Reynolds troppo dentro le righe.
Un segreto tra di noi (Fireflies in the Gardens, recita poeticamente il titolo originale) risulta comunque un film da non buttare, un’opera che potrebbe anche essere rivista per apprezzarne certe sfumature drammatiche. Ma rimane una pellicola riuscita per metà, un’occasione gettata alle ortiche: rimandiamo Lee alla prossima prova, che speriamo punti meno sul cast e più sulla sostanza delle idee.
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