Il non più giovane Jacques Audiard (classe 1957) era già stato notato di recente con lo splendido Tutti i battiti del mio cuore, noir incentrato sul  talentoso Romain Duris (L’appartamento spagnolo),  o ancor prima con Sulle mie labbra.

La sua nuova regia, in linea con i precedenti lavori, è affilata come la lametta da barba che il protagonista Malik – interpretato dal franco-algerino Tahar Rahim, quasi lo Zidane del nuovo cinema transalpino – maneggia con disperata spietatezza per aver salva la vita e poter entrare nel cuore di tenebra di una prigione di massima sicurezza, dove il potere è di fatto esercitato dal criminale Luciani, capoclan còrso, cui Niels Arestrup fornisce un volto dalla raggelante crudeltà.

Audiard mette in scena in modo convincente (ha ricevuto il Grand Prix al Festival di Cannes 2009) i cupi meandri – fisici, morali e mentali – dell’universo carcerario, dove dominano incontrastati odio e paura, ma anche la voglia di emergere.

Malik infatti si rivela abilissimo nell’utilizzare tutti gli infernali meccanismi della galera per avviare la propria ascesa: sotterfugi nei confronti dei secondini, finzione nell’apparente accettazione delle gerarchie iniziali, diplomazia e costruzione del consenso per destreggiarsi tra le diverse fazioni dei reclusi, compresa la propria (quella dei “fratelli arabi”).

Ed è così che il giovane galeotto venuto dal nulla riesce a portare la propria sfida ad un sistema di potere che si pensava lo avrebbe schiacciato come uno scarafaggio: Malik, un delinquente egli stesso, incarna la vita che malgrado tutto cerca di affermarsi sulla morte – profeticamente, giustappunto, come se fosse lo strumento di una volontà che prescinde dalle miserie umane.

Nota del caporedattore: impossibile non citare il bravissimo Niels Arestrup, che molti di voi ricorderanno in La tentazione di Venere.

http://www.youtube.com/watch?v=PCG2OgZiMKA

You May Also Like

More From Author

+ There are no comments

Add yours